Perché una CODA ha amato questo film

Il film CODA ha suscitato polemiche per il suo approccio alla comunità sorda e al rapporto tra questa e la musica. Ma cosa ne pensa realmente una persona CODA?


Autrice: Romina Volpi

Inizio dicendovi chiaramente che quelle che seguono sono le parole di una CODA (acronimo di Children Of Deaf Adults) che ha guardato il film con quella punta di pregiudizio tipica di chi conosce bene la materia ed è pronto a prendere appunti sulle critiche da muovere. Innanzitutto questo è il remake (di La famiglia Bélier di Eric Lartigau) di un remake (di Al di là del silenzio di Caroline Link), quindi il terzo tentativo nell’arco di soli quindici anni. Il film racconta la storia di Ruby (Emilia Jones), una ragazzina 17enne, unico membro udente di una famiglia di persone sorde, che lavora sul peschereccio di famiglia come interprete del padre Frank (Troy Kotsur) e del fratello Leo (Daniel Durant), oltre a frequentare la scuola. Proprio qui, iscrivendosi al Club del Coro per stare accanto a Miles (Ferdia Walsh-Peelo), il ragazzo per cui ha una cotta, scopre di avere talento nel canto. Sostenuta e incoraggiata dall’insegnante Mr.V (Eugenio Derbez), inizia a sognare di iscriversi alla prestigiosa scuola di musica Berklee, ma questo comporterebbe giocoforza un allontanamento dalla famiglia.

Tutti questi temi (bisogno della famiglia e desiderio di seguire la propria strada, un talento che i genitori non possono comprendere a causa della sordità, l’adolescenza intesa non come periodo spensierato ma come fonte di pressanti doveri) erano già stati trattati in La famiglia Bélier, cosa avrebbe potuto aggiungere di interessante questo remake che ne segue pedissequamente la trama? Inoltre letteratura e cinema hanno raramente osato un approccio analitico a questo tipo di disabilità, preferendo puntare sulle emozioni “di pancia” per accattivarsi il pubblico con poco sforzo o come escamotage per aggirare un ostacolo narrativo. Mi riferisco ad esempio al recente Eternals di Chloé Zhao, in cui l’eroina Makkari (Lauren Ridloff) sfugge ai boom sonici causati dalla velocità cosmica in virtù della mancanza dell’udito, deficit che non viene approfondito nel corso del film, ma utilizzato come mero stratagemma per permettere a Makkari di viaggiare tra mondi.

Ma CODA non è solo un remake. La leggerezza che contraddistingue il predecessore francese si perde man mano che si procede con la narrazione e Ruby non è più soltanto la ragazzina che stenta a rendere i genitori consapevoli del proprio talento canoro, bullizzata dai compagni di scuola che fanno “la voce da sordo”, ma si trasforma in una giovane donna dal vissuto complesso lacerata da una scelta che non accetta compromessi: inseguire il proprio sogno artistico o continuare ad assistere devotamente la famiglia. Il compito che un bambino o un adolescente CODA sono chiamati a svolgere non è solo quello di mero interprete dei genitori, bensì quello di farsi tramite tra un’emotività elementare e una più complessa.

Per cause di forza maggiore, il mondo delle sensazioni per la persona sorda non è variegato come quello di chi può sentire, poiché la mancanza dei suoni crea ipso facto una barriera comunicativa. Da qui le innumerevoli difficoltà di comprensione in seno alla famiglia che vanno ben oltre la barriera generazionale. A un certo punto Jackie (Marlee Matlin), dopo la dichiarazione della figlia che le confessa di amare il canto, le chiede “Se fossi cieca, tu dipingeresti?”, con un’ironia che vorrebbe essere una forma di accettazione, ma peccando altresì di involontario egoismo nell’alimentare la crisi emotiva della ragazza, come faranno molte volte anche il padre e il fratello. Ebbene, questa è la realtà. Senza un figlio CODA la vita dei Rossi sarebbe ancora più dura.

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Emilia Jones e Marlee Matlin in “CODA” (© Apple TV+)

La comunità sorda si è indignata ritenendo CODA e Sound of Metal film banali e insensibili rispetto al rapporto tra musica e mancanza di udito. Nel sito di critica cinematografica “Hyperallergic” si legge come non sia credibile che Frank si senta sopraffatto nel toccare la gola della figlia mentre canta. Non c’è nulla di più sbagliato. Le vibrazioni sono uno strumento di comunicazione molto importante per chi non può sentire, proprio perché non vengono percepite dal timpano, ma attraverso il tatto. Per un sordo è possibile ballare o intuire l’arrivo di un grosso camion tramite le vibrazioni assorbite dal pavimento, come pure affermare con certezza che la musica che fuoriesce da uno stereo è suonata a volume troppo alto appoggiandoci sopra un palmo. Un altro rimprovero al film riguarda la difficoltà pazzesca di cantare e segnare contemporaneamente, che non può essere improvvisata come fa Ruby. Questa è un’osservazione senza fondamento, in quanto l’essere umano è perfettamente in grado di gestire queste due azioni allo stesso tempo. A tal proposito vi invito a guardare il seguente video in cui una bambina piccola si cimenta in queste attività. Non si tratta di un’operazione semplice, ma il livello di difficoltà è pari a quello di una traduzione simultanea, quindi possibile.

Un ulteriore commento negativo riguarda il fatto che nel film le persone sorde vengono dipinte come testarde e restie all’inclusione. Ebbene, i suoni sono un potentissimo mezzo di comunicazione e esserne privato ti isola. Non credo sia un caso che molte persone sorde scelgano di accompagnarsi a qualcuno con lo stesso deficit. E sì, spesso sono anche testarde. I miei genitori e molti dei loro amici lo sono. Non c’è da scandalizzarsi per questo, accettare qualcuno non significa renderlo uguale a noi sotto ogni aspetto, ma anzi valorizzarne e apprezzarne le differenze. Riconosco che immedesimarsi nella vita di un CODA sia estremamente complesso, per questo ho molto apprezzato il lavoro della regista Sian Heder che, oltre ad avvalersi si talentuosi interpreti realmente sordi, si è sforzata di entrare nella mente e nel cuore di Ruby, che “non è mai stata una bambina”, perché fin da piccola sommersa di responsabilità troppo grandi e in perenne conflitto con i due mondi tra cui vive a cavallo senza appartenere veramente a nessuno.

Ho rivisto davvero moltissimo di me stessa e della mia famiglia nei Rossi, nonostante la lontananza geografica (io sono nata e cresciuta in Italia) e temporale (sono passati circa trent’anni da quando avevo la stessa età di Ruby). Forse CODA è realmente una fiaba a lieto fine come l’ha definita qualcuno, ma ben venga se serve a lasciare uno spiraglio di speranza. È un bene anche se lo fa strappandoci sorrisi e perfino qualche fragorosa sghignazzata perché, che ci crediate o no, nella disabilità non ci sono solo lacrime.


CODA – I Segni del Cuore è disponibile in DVD, Blu-ray e digital edition.

Why a CODA Loved This Film – Loud And Clear Reviews
The film CODA made people talk for its approach to the deaf community and its relationship with music. But what does a CODA actually think about it?
loudandclearreviews.com
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