C’era una volta a… Hollywood è puro Tarantino. Divertimento, suspense e inaspettata tenerezza in un appassionato inno al cinema nelle sue molteplici sfaccettature.
“Bello, ma non è il miglior Tarantino”.
Non è la mia opinione di C’era una volta a… Hollywood. Non si tratta ovviamente nemmeno di una citazione dal film, né di un commento sentito in conferenza stampa.
È la battuta ironica fatta alcuni anni fa da un’amica, in occasione dell’uscita di Bastardi Senza Gloria. Parlavamo di quei giornalisti e cinefili che puntualmente, dopo aver visto il nuovo film di Quentin Tarantino, si dichiarano felici si, ma comunque non pienamente soddisfatti. Perché quello era un bel film di Tarantino, ma non il “Miglior Tarantino”.
Durante la visione di C’era una volta a… Hollywood, tra un moto di gioia e l’altro, ho ripensato spesso a questa battuta. Mi sono trovata a chiedermi per la prima volta se quello che stavo vedendo fosse il “Miglior” Tarantino. Il Tarantino con la T maiuscola “quello che, fatto Pulp Fiction, hanno buttato via lo stampo”. Non perché il film non mi piacesse, ma perché sentivo che sarebbe potuto non piacere a tutti, che forse molti non lo avrebbero apprezzato e capito, e la cosa mi rendeva stranamente triste.
C’era una volta a… Hollywood non è l’apice dell’opera di Tarantino come regista, ma sicuramente ne è la summa. È un inno al cinema nelle sue molteplici sfaccettature.
Un film che parla di cinema, ambientato nella città del cinema, con protagonisti che lavorano nel cinema. Il cinema è ovunque: nelle sgargianti ed esagerate insegne al neon che illuminano la città ogni sera, nelle locandine che la tappezzano, nella “sfilata” di sale cinematografiche che propongono le nuove uscite, esibendo in bella vista nomi di attori e attrici ormai leggendari.
Tutto nel 1969 a Hollywood per Tarantino era cinema e il regista si butta a capofitto nel raccontarci una storia che celebra il cinema, quello da lui tanto amato, in un modo così intimo, naturale … cinefilo, che potrebbe lasciare spiazzati i meno esperti. Perché le citazioni, nemmeno a dirlo, si sprecano,al punto che anche i più appassionati potrebbero non essere in grado di coglierle tutte. C’era una volta a… Hollywood, è un turbinio di volti che tornano dal passato, di titoli che non ricordavi di aver sentito (sempre che tu li abbia mai sentiti!) finché non li vedi scritti fuori da qualche cinema o citati da uno dei personaggi. Moltissime anche le autocitazioni (una in particolare da Bastardi senza gloria) che i fan del regista si divertiranno a individuare con sempre maggiore coinvolgimento.
Si parla di cinema e si vive il cinema, fuori e dentro dalla sala, in cui una spensierata Sharon Tate (Margot Robbie) entra per rivedersi in The wrecking crew, film che l’ha fatta “conoscere” e apprezzare come attrice comica da Tarantino, “mi piaceva come una ragazza così carina non avesse paura a rendersi ridicola e risultasse così naturale nel ruolo”. Il suo entusiasmo nel rivedersi sullo schermo e nel vedere le reazioni del pubblico alla performance, è contagioso e ricorda quello che in fondo ogni appassionato di cinema prova quando entra in sala o quando rivede un film che gli è piaciuto particolarmente.
Sharon passa davanti alla sala cinematografica quasi per caso, si ferma, la supera, ci ripensa. Titubante entra e osserva le foto di scena e i poster appesi fuori che la ritraggono nelle varie scene, scorre con lo guardo il cast con cui ha lavorato, il regista. Sorride e decide di entrare, chiedendo se può farlo gratis, “sono nel film!”. Tarantino non ci sta solo raccontando il cinema, ma ci sta insegnando come approcciarlo anche da spettatori, gustandolo, dandoci il tempo di osservare ogni dettaglio, di apprenderne il più possibile.
Durante la conferenza stampa, Leonardo Di Caprio ha evidenziato come per lui lavorare con Tarantino sia anche e soprattutto occasione di imparare, di “studiare” il cinema. “I film di Quentin sono l’occasione di scoprire opere e autori sconosciuti, che poi hai modo di approfondire autonomamente”.
C’era una volta a… Hollywood è emozione per tutti coloro che il cinema lo vivono come passione ma anche come divertimento, perché trasuda quell’energia fanciullesca di chi, anche nelle avversità peggiori, riesce sempre a rimettersi in piedi e… tornare in sala! Alla ricerca di una nuova fuga e nuove emozioni.
C’era una volta a Hollywood non parla tuttavia solo di cinema. Perché c’è un’insolita tenerezza in Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e Cliff Booth (Brad Pitt), i due protagonisti dalle vite sgangherate e al limite. Rick è un attore finito, star di una serie tv western fallita, che vive di alcool e rimpianti. Dall’indiscutibile talento, ma condannato a interpretare il ruolo del villain bidimensionale da saloon, è la controfigura di tutti quegli attori che sono rimasti imprigionati in un ruolo e poi inevitabilmente dimenticati. Fagocitati dalla “fabbrica dei sogni” che non si ferma mai e difficilmente offre una seconda occasione. Al suo fianco, sempre e comunque, c’è Cliff, stuntman perseguitato da un passato “oscuro” mai chiarito, che non riesce a trovare lavoro e finisce per svolgere per Rick ogni tipo di mansione, dal fargli l’autista al riparargli l’antenna della tv. Se Di Caprio raccoglie almeno un paio di monologhi a favore di camera, che gestisce magistralmente, è però il personaggio ambiguo di Pitt a calamitare inesorabilmente l’attenzione.
In contorno alle disavventure della “strana coppia”, troviamo la bellissima Sharon Tate e il marito regista Roman Polanski (Rafal Zawierucha), giovani spensierati e sorridenti neo-vicini di casa di Rick, osservati, in lontananza da un gruppo di inquietanti hippie stabilitisi nel limitrofo (più o meno) Spahn Ranch.
L’amicizia è l’altro grande motore di C’era una volta a Hollywood, l’amicizia come base della comprensione e del rispetto tra persone. Si parla di amicizia e si vive l’amicizia in tante sfaccettature, da quella di Rick e Cliff, inseparabili “fratelli” che hanno affrontato mille avversità e nonostante tutto ci sono ancora l’uno per l’altro “no matter what”, agli amici nati da relazioni finite, come Jay Sabring (Emile Hirsch) sempre innamorato di Sharon ma in grado di mettere da parte la propria felicità per quella della donna, diventando amico e supporto insostituibile della coppia. Ci sono amicizie con radici profonde e altre di cui si intravede appena il germoglio, ma sempre semplici e genuine.
La minaccia che incombe su tutti loro, rappresentata da un Charles Manson “Charlie”, quasi evanescente (compare pochissimo nel film) e dai suoi seguaci, carichi di tutta l’allarmante sfrontatezza e incoscienza (oltre che stupidità) della gioventù, serpeggia come un brivido sottopelle. Consolidata dalla conoscenza storica dello spettatore, ma anche dalla consapevolezza che quando si tratta di Tarantino nulla è mai certo, crea forse una delle più lunghe parentesi di suspense della storia del cinema. Una menzione speciale va al bellissimo piano sequenza che ci introduce al “covo” del gruppo di Manson, degno dei migliori western oltre che “varco temporale” tra i generi, di grandissimo impatto.
C’era una volta a… Hollywood, a posteriori, risulta di un’onestà disarmante nella storia e nelle emozioni dei personaggi che ci propone e dietro la macchina da presa, Tarantino prova un insano gusto a farci diffidare di loro. Insinua dubbi con frasi buttate qua e là al vento, da brava Sibilla Cumana, inquadrature strategiche e tempi che a volte si dilatano all’infinito, creando tensione nello spettatore che si chiede che tipo di film sta effettivamente guardando.
Ancora una volta infatti, il regista ci mette davanti a un’opera di difficile, se non impossibile, collocazione. Una commedia, un western, un thriller… C’era una volta a… Hollywood è tutto questo e molto di più. È un modo con cui Tarantino ci offre, come sempre, una parte di lui, della sua esperienza ma soprattutto della sua passione. Lo fa raccontandoci alla sua maniera, forse la più intima delle storie portate fino ad ora sullo schermo. “Per molti registi questa è una professione, per lui una passione”, ha dichiarato il produttore David Heyman e noi non possiamo che essere d’accordo.
C’era una volta a… Hollywood non è il “Miglior Tarantino”, è Tarantino stesso. Nella sua roboante ed elaborata semplicità.